domenica 24 febbraio 2019

JASON RINGENBERG "Stand Tall" (2019)

RECENSIONE



Grazie al crowdfunding Jason Ringenberg riesce a pubblicare e promuovere il suo quinto album solista (senza gli storici Scorchers) "Stand Tall".

Potendo contare su una voce inimitabile e sulla grinta che lo contraddistingue, Ringenberg cerca di attualizzare le sue origini musicali in brani come il western 'Stand Tall' gli irish-rock 'I’m Walking Home' e 'John Muir Stood There',  la religiosa 'John the Baptist Was A Real Humdinger'.
Si va a ritmo di country-rock in 'Lookin’ Back Blues', 'Almost Enough' e 'Many Happy Hangovers to You' mentre 'Hobo Bill’s Last Ride' è malinconica in stile Jimmie Rodgers.
Southern punk/rock in 'God Bless the Ramones' (dedicata  alla band di New York) e Folk tradizionale nella conclusiva 'Farewell Angelina'.

Dunque niente di nuovo, Ringenberg ripropone una formula sicura ma lo fa in assoluta indipendenza e controtendenza come se non si trovasse nel 2019.


sabato 23 febbraio 2019

JOHN MAYALL "Nobody Told Me" (2019)

RECENSIONE



Bisogna dirlo, gli ultimi dieci anni di John Mayall non sono stati significativi sul piano discografico; anche la scelta recente di fare a meno di un chitarrista nella band non ha giovato al suono.
Questo "Nobody Told Me" riavvolge il nastro al 2007 (quando pubblicò "In The Palace Of The King") e quindi ritroviamo del buon blues scoppiettante con la chitarra elettrica che torna finalmente protagonista.

Il brano di apertura 'What Have I Done Wrong' si avvale dell'impetuosa chitarra di Joe Bonamassa e di una classica sezione fiati. La seguente 'The Moon is Full' può contare sulla chitarra di Larry McCray e un accompagnamento di organo; l'armonica apre e punteggia la pianistica 'Evil and Here to Stay' dove Alex Lifeson (chitarrista dei Rush) si mette al servizio del maestro. In 'That's What Love Will Make You Do' tornano i fiati e le parti di chitarra sono affidate al preciso lavoro di Todd Rundgren, mentre 'Distant Lonesome Train' è costruita sulla slide guitar di Carolyn Wonderland.
La sorniona chitarra di Bonamassa introduce la successiva 'Delta Hurricane', classico blues-rock con organo e fiati sullo sfondo e lungo assolo finale di chitarra. Ancora fiati in 'The Hurt Inside' e tanta chitarra elettrica ad opera di Larry McCray; Steven Van Zandt della E-Street Band è presente nella più scontata 'It's So Tough' e Carolyn Wonderland torna in 'Like it Like You Do', brano che ricorda parecchio 'Walking on sunset' ("Blues From Laurel Canyon" - 1968).
Chiude il disco la title track, lento blues pianistico con ancora Carolyn Wonderland alla chitarra.

In definitiva si tratta del 'solito' album di british-blues ma, sarà per il ritorno delle chitarre, sarà per la buona prova vocale del maestro, finalmente possiamo ascoltare tutto d'un fiato un disco di Mayall come ai vecchi tempi...


sabato 16 febbraio 2019

TEDESCHI TRUCKS BAND "Signs" (2019)

RECENSIONE


Premetto che in "Signs" la collaudata fusione di Blues, Soul e Americana crea ancora una volta un disco molto raffinato ed intenso.

L'apertura è affidata al ritmato brano a due voci 'Signs, High Times' con il classico guitar solo finale.
'I'm Gonna Be Here' è ricca di intricati riff e melodie con un rassicurante canto gospel.
Cambio di tempo con il lento 'When will I Begin' uno dei momenti più contemplativi dell'album.
Si passa quindi al classico R'n'B di 'Walk Through This Life' e all'altro lento del disco: 'Strengthen What Remains'. Grintoso l'assolo di chitarra in 'Still Your Mind' ad opera di Derek Trucks.
Il blues 'Hard Case' offre un momento di sollievo prima del soul in stile Motown 'Shame', dove la voce risulta ancora una volta molto coinvolgente. L'approccio soulful di 'They Don't Shine' fa battere il piede per il suo ritmo.
La spoglia 'The Ending' chiude l'album accoppiando la potente voce della Tedeschi ad un semplice accompagnamento di chitarra acustica.

E' dunque un album complesso e stratificato ma anche onesto, con la voce di Susan Tedeschi che porta tutto ad un livello superiore. Anche in questa occasione credo che dal vivo i nuovi brani avranno una resa ancora maggiore.


venerdì 15 febbraio 2019

RYAN BINGHAM "American Love Song" (2019)

RECENSIONE


Dopo quattro anni di assenza torna Ryan Bingham con questo “American Love Song”.

Passo subito al contenuto: ‘Jingle and Go’ (col suo piano honky tonk), ‘Nothin Holds Me Down’ (dall’impianto southern-rock) e ‘Pontiac’ (potente rock’n’roll) scorrono velocemente e piacevolmente; ‘Lover Girl’ è un country piuttosto scontato, al contrario ‘Beautiful and Kind’ e ‘Wolves’ sono brani folk scarni e diretti, ‘Got Damn Blues’ e ‘Hot House’ un viaggio nel Chicago blues.
Seguono l’alternative country ‘What Would I’ve Become’ e ‘Blue’ bel rock dalle sfumature gospel.
‘America’ è una breve canzone acustica che racconta l’attuale scenario socio-politica degli USA.

La produzione di Charlie Sexton (chitarrista di Bob Dylan) non porta molte novità di contenuto rispetto ai lavori precedenti, piuttosto è evidente un tentativo di sintetizzare ed omogeneizzare quelle che sono state le influenze musicali di Bingham per creare un disco più “commerciale” nel senso più positivo del termine.